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— Va’ al diavolo! — gridò Giacobbe. — Tu sei un uomo senza cuore.

— Ebbene, sì, sono un uomo senza cuore.

— Perchè Giovanna non ti ha voluto, tu ti contenti della morte di un tuo simile, anzi di qualche cosa peggiore della morte?

— Costantino non è morto, e non è mio simile, e Giovanna Era son io che non l’ho voluta. Se l’avessi voluta, mi avrebbe leccato la suola delle scarpe.

— Bum! Bada che cadi, uccellino di primavera. Tu sei bugiardo come una serva.

— Io? Io... non... sono... una... serva! — gridò Brontu, staccando le parole. — Se tu mi ripeti una cosa simile, ti prendo per il cocuzzolo e ti ammazzo.

— Bum! Ti ho detto che cascavi per terra, uccellino di primavera! — gridò Giacobbe.

Le loro voci risonarono nella notte: poi tacquero e tutto fu di nuovo silenzio. In lontananza, al brillare delle stelle che incoronavano di fiori d’oro i profili di sfinge delle montagne nere, l’assiuolo rispondeva al grido melanconico della civetta.

E d’un tratto Brontu si mise a piangere; uno strano pianto d’ubriaco, senza lagrime nè singhiozzi.

— Ebbene, che hai? — chiese l’altro sottovoce: — Sei ubriaco?

— Sì, sono ubriaco. Ubriaco di veleno, che tu possa morire affogato, avanzo di galera!

L’altro si offese, perchè non era stato mai non

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