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— Giovanna Era, — disse con voce grossa e rude, — che fai lì al buio? Sei lì? Che fai? Mi pare che tu pianga! Tu sei matta, in verità mia, tu sei matta!

L’altra continuò a singhiozzare più forte.

— Ah! Ah! Ah! — disse la donna grossa, avanzandosi, come sorpresa e scandalizzata. — Lo avevo detto io che piangevi! Perchè piangi? Tua madre è giù che ti aspetta, e tu piangi come una matta che sei.

Attaccò il lume ad un lungo chiodo sul muro, e cominciò a girare attorno alla donna piangente, cercando invano parole per confortarla. Non riusciva a dirle altro che:

— Ma sei matta, Giovanna, sei matta!

La camera dei forestieri (così viene chiamata a Nuoro la stanza che in tutte le case all’antica è destinata agli amici ospiti dei paesi vicini) era vasta, bianca, rozza, con un gran letto di legno, un tavolino coperto da un tappeto di percalle con sopra chicchere e tazze di vetro; con moltissimi quadretti appesi in alto sulle pareti, quasi sotto il soffitto di legno grezzo. Dalle travi del soffitto pendevano grappoli d’uva raggrinzita e di pere gialle dai quali pioveva una sottile fragranza. Bisacce di lana, colme, diritte, stavano qua e là per terra.

La donna grassa, che era la padrona di casa, sollevò una di queste bisacce, la portò più in là, poi la riportò al posto donde l’aveva presa.

— Ecco, finiscila, — disse ansando per lo sforzo fatto, — che cosa vuoi farci? Non bisogna

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