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Abbiamo raccolto dei sassolini, delle erbe, che so io? Ci siamo seduti all’ombra dei noccioli; abbiamo scritto sulla sabbia, io col mio bastone, e lei col suo ombrellino — io scrivevo Federica e lei scriveva maggiore; poi io presi l’ombrellino e lei prese il bastone, ma scrivevamo ancora Federica e maggiore.

C’era una cappelletta sul sentiero. Federica si inginocchiò e colla sua candida fede di fanciulla ringraziò la madonna per la guarigione di mia madre. Io ero in piedi dietro a lei — la guardavo — mi pareva un angelo.

Nel correre giù della collina perdette il cappello; le sue treccie si impigliarono ai rami bassi delle rubine, si sciolsero nere e lucenti sulla veste rosa... avrei voluto essere pittore in quel momento. L’aiutai a districare i suoi capegli dalle spine che li trattenevano — strano! — quei capegli avevano un odore di fiore, ma di fiore non conosciuto, un odore vago di giovinezza e di salute.

Non le permisi più di correre. La presi per mano e discendemmo passo a passo.

Che ore felici vi sono nella vita! Da molti anni non provavo una dolcezza così profonda, come la provo vicino a lei. Ho seppellito il mio cuore ed ecco che lo ritrovo più vivo che mai...

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