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Era, la moglie del signor Caccia, una donnina sui quarant’anni gracile, patita, con una faccia lunga e terrea, pallidamente illuminata da due occhi neri, opachi, senza lampo; occhi buoni e tranquilli che avevano pianto molto, che piangevano ancora facilmente, con una debolezza rassegnata e dolce. Mai nessun nome s’era attagliato cosí bene ad una donna. Quando si diceva in paese la signora Soave nessuno poteva scompagnare quel nome dal volto malinconico della moglie del ricevitore. E qualche cosa di stanco, come di catena lungamente trascinata, si appalesava in tutti i suoi
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