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110 | il crimine |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:116|3|0]] prato, con denti a sega capaci di ben mordere, con mani salde capaci di ben scrollare. E quel suo ridere, un po’ gutturale! E quel suo modo di mormorarle sulla bocca, teso ed elettrico come un felino: — Adesso ti prendo, ti prendo.... —
Ah, basta.
La forza incomposta, virile, che nell’adolescenza l’aveva tante volte spinta con sassi e contumelie contro i compagni di scuola e di fabbrica, più robusti di lei, con la sfida sulle labbra: — Non ho paura, io!... — la rivolgeva e la premeva, ora, contro la più gelosa parte di se stessa, affinchè il segno dell’uomo estraneo venisse offeso, cancellato, disperso.
Dietro il vicolo de’ Fabbri, proprio all’entrata del villaggio, stava aggruppato un nodo di casupole lebbrose, con finestrelle scompagnate, con ballatoi di legno marcito, fra un insopportabile odor di stalla e di truogoli. Cristiana infilò un uscio, scese uno scalino e si trovò in una stanza più bassa del livello della via, mobiliata d’un tettuccio, d’un canterano, di due cassapanche e d’un’infinità d’immagini sacre a colori vivissimi. Una vecchiarda,