< Pagina:Negri - Le solitarie,1917.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

il crimine 113

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:119|3|0]] stata in chiesa, alla prima messa. Me l’ha detto la Falletta. Sta attenta, Cristiana. Io son di guardia.

Molte volte le dure volontà delle due donne s’eran date di cozzo; e l’una aveva fatto fronte all’altra, senza che la vittoria rimanesse ad alcuna. Ma, quel mattino, l’Imperatrice non ebbe forza di rispondere. La madre le si drizzava davanti, al suo posto di custode della casa e dell’onore, inattaccabile nella vita rigidamente chiusa tra il focolare e l’altare, degna del comando e del giudizio, perchè degna di rispetto. E tacque; e salì, rapida, la scala.

Giunta nella sua camera, si strappò la boccetta di tasca. Il chiavistello dell’uscio non chiudeva bene: la madre, col suo passo cauto, reso sordo dalle pantofole a grossa suola di corda, avrebbe potuto entrar d’improvviso. Che fare?... La testa le girava vertiginosamente. Le si sfasciava la spina dorsale.

Per istinto di difesa, per impulso di follia, pel bisogno di compiere un alto selvaggio che a tante ansie ponesse un suggello definitivo, stappò la bottiglietta, e bevve a gorgozzule il giallastro fetente liquido, che le arse il palato e la faringe. Quando non ne rimase più una

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.