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il crimine | 123 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:129|3|0]] volte alto e pieno come un coro di chiesa: era la canzone dei telai, la vecchia canzone al cui ritmo era cresciuta e vissuta, in allegrezza ed in forza: e scendeva anch’essa con lei, la vecchia e nota canzone, nell’oscurità senza spiragli, senza scampo.
— È giusto — alitò ancora, tentando penosamente di sorridere alla Cappio e alla custode.
Il tempo passò, il tramonto calò. Partirono i muratori in silenzio, partirono cigolando i carri degli spedizionieri con le balle di stoffa, le, macchine s’allentarono, poi tacquero. Ad uno ad uno, operai ed operaie, affacciandosi all’uscio della portineria, scambiavan qualche parola sottovoce, scotevano il capo, e s’allontanavano tristemente. Anche il dottore, accorso in furia verso le diciotto, dopo aver tentato invano qualche iniezione se n’era andato, masticando amaro e sogghignando verde, con una certa sua smorfia fra dolorosa e cinica, che gli scopriva i denti nerastri fra la barbaccia mal tenuta.
— Maledette le donne! Maledetti i loro pasticci!... Come se io non lo capissi, che cosa c’è lì sotto!... Roba da procuratore del re....