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l’incontro | 131 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:137|3|0]] luce sotto l’unica finestra, il vecchio padre di Maria Chiara non lavorava quasi più. Tanto lui che la moglie vivacchiavano sugli scarsi guadagni della portineria e sullo stipendio della figlia: lui, terreo, risecchito, storto d’una spalla, colla bocca nera e fetente di tabacco masticato, colle mani adunche e squamose: lei, grassa, torpida, volgare, troneggiante fra le serve pettegole del casamento e del quartiere.
A trent’anni suonati, Maria Chiara non ricordava d’aver veduto suo padre e sua madre più giovani, e diversi. Il babbo adoperava, adesso, assai meno il trincetto, il cuoio e lo spago: null’altro. La parca mesata dell’impiegatuccia postale, non appena ricevuta, passava nelle mani artigliate del vecchio, o in quelle, attaccaticce come il vischio, della vecchia. Per comprarsi una cintura, una veletta, un fiore pel cappello, doveva chieder denaro alla madre; e la madre nicchiava, e lesinava persino i due soldi del tram, borbottando che i tempi eran duri.
Maria Chiara indossava da più di due estati un meschino abito grigio a giacchetta, di così goffo taglio che non riusciva a nascondere