< Pagina:Negri - Le solitarie,1917.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

l’incontro 137

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:143|3|0]] cora?... Era la folla, adesso, che la sospingeva, portandola, come le onde dell’oceano un avanzo di naufragio; e mai più, mai più sarebbe apparsa la riva.

Non riva, non approdo, nè salvezza. Nè passato, nè avvenire. L’attimo la rapinava nella sua vertigine. Sola, sperduta, anonima. Gli iridescenti riflessi delle vetrine, fulgide di gioielli, damaschi, velluti, cuoi dorati, l’assalivano con la sensuale sonorità delle loro musiche gialle, argentee, violette, purpuree. E belle donne lentamente passavano, per le quali quelle belle cose eran fatte; e tutte s’appoggiavano all’uomo che le amava e le proteggeva (per un giorno, per un mese o per la vita, che importa?...) e nell’ora lusinghevole ogni loro movimento, sotto i grandi cappelli a piume e nella carezza delle morbide vesti, era grazia, gioia, seduzione, luce.

Due pensieri incoerenti, usciti dai meandri dell’istinto femminile, zigzagavano nell’ondeggiante cervello di Maria Chiara: essere nella carne della flessuosa creatura che la rasentava a sinistra, col visetto serrato in un capriccioso tòcco bianco, col corpo scolpito in una guaina bianca: vivere la dolce vita della

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.