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Storia di una taciturna 211

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:217|3|0]] di grado, si gonfiava di se stesso, il giorno all’ufficio, la sera a discutere di protocollo e di politica cogli amici, fra un sorso e l’altro di birra: bell’uomo, vanesio, che aveva una singolar maniera di dire, scotendo il capo tra il soddisfatto e l’irrisorio:

— Già, le mogli non capiscono nulla!...

Ella udiva e taceva: aveva sempre taciuto, tacerebbe sempre. Del resto, che le importava?... Saziarsi di quella frase, ripeterla su tutti i toni, era una delle ragioni di vivere di suo marito; e lei.... lei era stata sposata appunto per questo: perchè era una povera piccola donna, una donna comune.

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. — Giacomo, il primogenito, metteva i baffi ed entrava in liceo: Gigetta, segaligna e pedante come il nonno, si preparava per la scuola magistrale: entrambi ostentavano la modernità di atteggiamenti e la sicurezza di giudizi della nuova generazione — e consideravan la madre passiva e taciturna dall’alto della loro vacua superiorità. L’orgogliuzzo del pater-familias si compiaceva ugualmente dell’ombra in cui viveva la moglie e dell’ingannevole parvenza d’ingegno pavoneggiante nei figli.

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