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Storia di una taciturna 213

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:219|3|0]] nero successivamente licenziate, quale per inettitudine, quale per insolenza, quale perchè rubava sulla spesa. E il vicinato accusava Caterina d’incontentabilità; e il padrone si fregava le mani....

Una, tuttavia, rimase: una loschetta col seno enorme e i capelli unti. Caterina era stanca di lottare in silenzio. Si rassegnò. La notte, fingendo di dormire, rigidamente distesa lungo la sponda del letto, ascoltava l’uomo allontanarsi: ritornare, dopo qualche ora: strisciar fra le lenzuola come un lungo serpente, e russar quasi subito, con un bizzarro fischio alternato a gemiti gutturali. Ella si drizzava allora sui guanciali, allargando gli occhi nell’ombra. Occhi terribili, che nessuno le aveva veduti mai: occhi che inghiottivano la tenebra e ne erano inghiottiti: torbidi specchi di un’anima abbeverata di nausea, vigile in solitudine, distaccata da tutto.

Quei terribili occhi pur le videro i figli, il giorno in cui, chiamati per telegramma — Giacomo da una borgata del Veneto dove aveva impreso a condurre una farmacia, Gigetta da una città delle Marche dove era stata nominata maestra, — trovarono la donna immo-

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