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Durante la pausa che seguì, fu quasi udibile il cadere di alcuni petali di rose bianche, da un mazzo, sul piano lucente della tavola. E fu ancora la sconosciuta quella che riprese la parola, con impassibile sicurezza.

— Capirà. Non già che io mi abbia a lagnare menomamente della mia padrona. Sì, vero?... della maîtresse. È una buonissima donna, una donna di energia e di coscienza. Un po’ vivace, un po’ tempestosa di carattere; ma non tollera, lei, che le sue ragazze si stanchino troppo. La salute delle ragazze le preme più della sua. Quando abbiamo compiuto un discreto numero di turni, è lei che ci piglia per un braccio, e ci dice: Ohe, figliola!... Per oggi, stop!... Hai faticato abbastanza. Adesso va disopra, chiuditi nella tua camera, di’ il tuo rosario, e melliti a letto. — Ah!... non c’è che dire. Non si scherza con la mia padrona. Quel ch’è giusto è giusto. Ci si stanca, ma se ne ha un compenso. È una donna di proposito, una donna di religione.

La voce soave, che pareva uscire non già dalle labbra ma dagli occhi azzurri carichi d’intrepida dolcezza, rispose, finalmente, con tre domande:

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