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276 | il denaro |
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— Benedetta!... Te l’ho raccontata mille volte!... Fu molto tempo fa: tu avevi tre anni e mezzo, ed eri un diavoletto con una zazzera di riccioli rossi. Sul ponte, una domenica, io ti tenevo per mano e parlavo con Disolina, sai, quella palliduccia di Borgo Pietra, che poi morì tisica. Erano entrate in crocchio anche le due sorelle Velluti. Ad un tratto non sentii più la tua mano nella mia; e vidi Disolina e le Velluti, bianche, immobili, tre fantasmi, cogli occhi fissi sulla balaustra. Tu eri sgusciata fra le spranghe, capisci, figlia mia, figlia mia!... e te ne stavi diritta sulla breve sporgenza di marmo — una spanna — fissando il fiume. Sotto c’era il gorgo, e chi vi cade non ne risale più.... Ebbi la forza di non urlare, di non parlare, di non chiamarti. Avresti potuto volgerti indietro, e nel volgerti cadere a capofitto.... Non so che santi mi tenessero. Allungai il braccio fra le sbarre, ti presi per la vesticciuola e ti trassi dentro pian piano.... Ah, Vera, Veretta, Veronetta!...
— E io, io, che cosa dicevo, mamma?... — chiese la fanciulla, con sguardo avido.
— Tu dicevi: Mi piace l’acqua.
Veronetta rimase un poco in silenzio. Aveva