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il denaro 311

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Nella sua lettera, la lode parca ma convinta illuminava l’ammonimento severo. Diceva un ; ma tartassava dove c’era ragione di critica, trovava il nòcciolo del difetto essenziale, indicava la strada giusta, colpiva per incitare.

Veronetta gioì, tremò, sofferse con delizia, si scavò il cuore per prenderne a due mani il coraggio. Tornò sul manoscritto, cancellò, rifece, rinsanguò. Furono le sue sere regali. La corrispondenza con l’amico, che ella già chiamava “il buon Maestro„ divenne la sua ragione di vivere. Il libro — non romanzo, non favola, non lirica, ma l’una e l’altra cosa insieme, fuse in quel divino crogiuolo che è l’originalità d’una vera tempra d’artista sbocciata in solitudine, — pubblicato in parte, a puntate, nella rivista che il “buon Maestro„ dirigeva, colpì il pubblico in pieno petto. Voci contradditorie si levarono, curiosità morbose si acuirono sulla sconosciuta scrittrice che s’incarnava nella bizzarra figura della principessina dattilografa. E la “Principessa Olivia„ incominciò a divenire un personaggio di leggenda.

Finalmente, un giorno, l’amico le scrisse:

“Mia cara selvaggia, ho scoperto per voi due gemme. Un editore (grande) che vi pubblicherà

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