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26 | nella nebbia |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:32|3|0]] notte, che la luce avrebbe fatto ritorno, e con essa gli sguardi pietosi o ironici o stupiti o sfuggenti, sulla sua deformità.
Vi sono tragedie che afferrano una creatura in piena bellezza, in piena felicità, in piena armonia d’azione; e l’incalzano e l’aggirano vorticosamente nel loro turbine ruinoso: poi la lasciano, a terra, inerte, uno straccio, ma libera: ed ella a poco a poco si riconosce, si ritrova intatta, riprende a vivere, a gioire delle forze naturali, a respirare energia e speranza, quasi che nulla fosse avvenuto. — Vi è, invece, la tragedia muta, sorda, costante, fissa, che ha l’inesorabilità d’un cancro. Non v’è scampo contro di essa. Non v’è forza d’oblio che possa dimenticarla, o di dominio che possa vincerla.
In tale stato viveva Raimonda. Non lasciava, tuttavia, trasparire agli uomini se non quel ch’era impossibile nascondere: il marchio del viso.
Ella si sentiva isolata. Fra il suo fluido e il fluido altrui s’interponeva un divieto. Quel divieto la disonorava come una condanna. Dai dodici ai sedici anni, alle scuole tecniche,