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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:328|3|0]] ronetta fra le braccia, la tenne per qualche secondo sollevata da terra; ed il sorriso che illuminò la bocca virile e la bocca femminea fu ugualmente trionfale.

Più tardi, nella carrozza che da un albergo vicino alla stazione li conduceva in città, egli le chiese:

— Riconosci i luoghi?...

— Sì — no. — I giardini pubblici colle magnolie fiorite.... come mi sembran piccoli, ora!... I bastioni colle due file d’ippocastani.... Il teatro diurno.... via Santa Maria degli Orti.... casa Ghislandi.... Ma che mi fa, ora, tutto questo?... Non è più la stessa cosa. Non sono più Veronetta. È passato, è morto. Mi hai fatta nascere ieri, tu. Mi chiamo Vera, la tua donna.

Gli si strinse addosso, aderendo a lui col tepore della spalla e del braccio, mentre la vettura passava nel solleone per viuzze deserte, strette, pietrose, ove la vampa piombava a perpendicolo su antichissimi palazzi anneriti dal tempo, che avevan chiuse tutte le imposte per respingere la calura.

La certezza della presenza amata, l’ardente plenitudine dell’ora le davano un senso di

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