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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Le solitarie,1917.djvu{{padleft:42|3|0]] proprio giaciglio che aveva l’aria d’una cuccia, lavava in un mastello i cenci del padre, covava in un tepore di attiva e vigile tenerezza la precoce decadenza della madre canuta, sfasciata a quarant’anni, quasi cieca pel lungo agucchiare, indifferente a tutto fuor che alle trafitture artritiche, che la facevano urlare di spasimo. Si spense, la madre, in un’alba novembrina fasciata di nebbia, quietamente: si spense, alcuni mesi dopo, il padre, di sincope: disparvero entrambi come scompaiono, di solito, gli animali e i poveri, senza rumore, senza lasciar traccia. Anin aveva allora quindici anni. Raccolse la sua poca roba, vendette per un prezzo irrisorio il letto grande e il cassettone, s’infilò al dito l’anello di similoro della povera mamma, — e andò a servire.

Incominciò allora a disegnarsi, sul duro sfondo d’un lavoro indefesso, il vero stile della vita di Anin.

Ella aveva ricevuto in sorte, da natura, il genio dell’obbedienza gioiosa. Era nata serva come uno nasce pittore, poeta, affarista o

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