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Roberto Sarfatti e i divini fanciulli | 145 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Negri - Orazioni, Treves, Milano, 1918.djvu{{padleft:151|3|0]] do il suo uomo sedicenne, al comandante era bastato di fissar gli occhi su quella fronte di marmo: la fronte d’un Capo.
Scoppiò un giorno, nel pandemonio della terza classe, una delle solite risse: per gelosia d’una donna, fra due piccoli siciliani vulcanici. Balenarono i coltellacci: già il sangue stava per zampillare. Ecco Roberto Sarfatti scagliato fra le due furie: riesce, fulmineo, a disarmare i forsennati, ristabilisce l’ordine, confisca i coltellacci. Calmissimo.
Dominio di sè, dominio sugli altri.
Finito il viaggio, portò le due armi alla casa, come trofei.
Ma aveva anche imparato a lanciar la navaja messicana con infallibilità di tiro — e il bellissimo pugnale segnava troppo spesso folgoranti tra-