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Fondata un’opera, ella (ove se ne eccettui la Casa di Lavoro) possedeva il genio, ed anche la virtù, di lasciarla vivere di vita propria. Trasfuso in essa il germe fecondatore, additatone l’indirizzo ideale, costruitone lo scheletro dell’organismo, non le imponeva a lungo la propria presenza, la propria autorità, come un dogma o una catena. La dominava, l’incitava; ma dal largo e dall’alto. Le diceva: «Respira, muoviti, e lavora: non a me tu devi obbedire; ma all’idea che ti trasse dall’ombra, ed alla inevitabile legge dell’evoluzione».

L’opera, per Alessandrina Ravizza, apparteneva all’umanità, che aveva

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