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168 capitolo diciannovesimo

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Nietzsche - La Nascita della Tragedia.djvu{{padleft:220|3|0]] il pastore eternamente flautizzante o cantante, che alla fine deve pur sempre ritrovarsi eroe e pastore, dato che effettivamente per un certo tempo smarrisca sé stesso dove si sia; bontà, che è unicamente il frutto dell’ottimismo, che sale qui dal fondo della concezione socratica del mondo come una colonna di fumo odoroso, allettativa perché storditiva.

Il sembiante del melodramma non è minimamente ombrato, dunque, dal dolore elegiaco di un’eterna perdita; piuttosto è allietato dalla serenità di un eterno riacquisto, dalla tranquilla giocondità di una realtà idilliaca, o che per lo meno si può immaginare ogni momento come effettiva realtà; salvo forse ad accorgersi, che cotesta presunta realtà non è altro che un trastullamelo fantasticamente balordo, al quale, chiunque è in grado di commisurarlo con la formidabile serietà della vera natura e di raffrontarlo con le vere scene primitive dei primordi dell’umanità, dovrebbe gridare con disgusto: Via, via il fantasma! Nulladimeno si cadrebbe in errore, se si credesse che un folleggiale balocco, come è il melodramma, si possa cacciarlo via semplicemente con un gagliardo esorcismo, come uno spettro. Chi intende di distruggere il melodramma, deve intraprendere la lotta contro quella serenità alessandrina, che in esso esprime con tanta ingenuità la sua idea favorita; serenità di

cui l’opera in musica è la forma d’arte specifica. Ma che cosa c’è da attendersi a vantaggio della stessa arte dall’influenza di una forma artistica,

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