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Capitolo III.

Gli dèi olimpici. — Sileno e la Moira. — La ingenuità. — La giustificazione della vita. — Lo specchio della bellezza.

Se tutto questo vogliamo ben capirlo, dobbiamo disfare a pietra a pietra, per così dire, l’edificio estetico della civiltà apollinea e arrivare alle fondamenta sulle quali è eretto. Vi troviamo in primo luogo le immagini sovrane degli dèi olimpici, che si ergono in cima all’edifizio, e le cui gesta adornano i suoi fregi in bassorilievi vistosi. Se anche Apollo è in mezzo a loro come una divinità in mezzo alle altre, senza pretendere al primo posto, questa eguaglianza di grado non deve trarci in inganno. Tutto quanto quel mondo olimpico è in genetale il prodotto del medesimo istinto che si è incarnato in Apollo; e in questo senso possiamo ben tenerne Apollo come padre. Quale fu il bisogno prodigioso, dal quale scaturì cotesto splendido gruppo di creature olimpiche?

Chi si accosta a questi olimpici con un alti a religione nel cuore, e domanda loro altezza morale, anzi santità, domanda spiritualità incorporea, misericordiosa amorevolezza, fa presto a voltar loro le spalle, scorato e deluso. Nulla in loro sa di ascesi, di spiritualità, di moralità: presso di loro non altro ci parla, che una lussureggiante, una trionfale esistenza, nella quale ogni cosa è deificata, e non importa nulla se sia

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