Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
108 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:116|3|0]]piedi sulla spalliera, abbracciato agli arcucci della coperta, porgendo ascolto ai mille rumori che popolano l’amico silenzio delle tenebre, e fantasticando come volontieri si suole a vent’anni, in una notte vegliata in mezzo al lago, e con tante vergini speranze, quante erano allora le mie. Oggimai le meno si adempirono: molte fermentano ancora in grembo all’avvenire: troppe altre si dileguarono, lasciandomi un amaro disinganno.... Scosso e rivolto, mi trovai a fianco un sacerdote, di mezza età, di quella presenza che indica il pensiero e l’azione; e che anch’esso guardava, fantasticava, taceva.
Fra due persone affette al modo istesso, agevole entrò il discorso; ed ora egli narrava a me le ricerche de’ sapienti e de’ curiosi intorno a quel lago, ora io mostrava a lui lo stupendo effetto delle fornaci di calce, sfavillanti come vulcani sulla bruna schiena dei monti della Valassina: indi egli m’additava sull’opposta riva le rocche in rovina, mi parlava de’ monasteri, di non so qual regina Teodolinda, che, egli dicea, fabbricò quella torre alta sopra Varenna e il sentiero che costeggia a destra il lago: ed io gli mostrava i solchi, da incognita cagione increspati sul tranquillo dell’onde. — Guardi (io gli diceva) com’è puro lo zaffiro dei cieli! Le stelle ond’è tutto seminato, non pajono elle tante isolette di luce nell’oceano dell’aria?»
— Sì» mi soggiungeva egli: «chi nel contemplarle non sente vivo il desiderio di salire più alto di esse, tuffarsi in una luce ancor più pura ed immortale?»
E tacemmo, e guardavamo il cielo, i monti, il lago.
Eramo fatti vicini ad Olcio, e di mezzo alle acque