Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
153 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:163|3|0]]varlo se mai venissero nemici. Se questi si fossero affacciati, io non so quel che avremmo fatto: so bene che, quanto sia alla quiete e al tenere sgombro da malandrini, non c’è a che dire, mai non s’è inteso d’una prepotenza qui intorno pel corso di que’ tre anni.
Io però era sazio di quel trambusto irriposato: non mi parea trovar poi quella fratellanza che predicavano, quel ben volersi un l’altro; massimamente mi dispiaceva quel vedere malmenati i preti, e disturbate le chiese e i sacramenti, e ne prevedevo poco di bene. In fatto la primavera del 99.... allora dicevano ad un altro modo, perchè erasi mutato tutto, e fin gli anni e i mesi e le settimane, ma da noi non vi si dava ascolto, e la domenica si faceva festa, e a Natale si mangiava il panatone, e a Pasqua le uova e confessarsi. La primavera, come dicevo, del 99, s’intendono di strane novità, prima bisbigliate all’orecchio de’ più fidati, poi si divulgano; che è, che non è; si scrive come ’l quale i Francesi scappano, e tornano i Tedeschi con Russi e Cosacchi e che altre genti so io, a ristabilire i troni e la religione.
Allora un farnetico di saper di novità, anche no villani, avvezzi un tempo a lasciar fare ai padroni, senza curarcene più che tanto; un continuo domandarci, E sicchè? abbiamo notizie? E secondo si udiva Hanno battuto; Furono battuti; Vengono; Si ritirano, alcune facce si facevano tanto lunghe, altre ridenti e giulive: come quando il sole mostrasi attraverso ai nugoloni, che ad un tratto fa lucente questo prato, mentre quel poggio sta nell’ombra, poi di subito sparge sul poggio la luce, e lascia il prato nell’oscurità.