< Pagina:Novelle lombarde.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
190

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:202|3|0]]unico conforto ne’ dolori profondamente sentiti. Per quasi mezz’ora la Menica non riebbe la voce: poi come prima potè articolare le parole, tendendo il dito sopra il camino.

— Ecco là» disse, «Quello è il fucile, innocente occasione di sua morte. Come era sempre con lui. finchè visse, così lo voglio io continuo sotto gli occhi».

E proseguì raccontandomi come anche suo padre fosse infebbrilito, poi morto poco dopo; ed ella, volendo tenere la promessa al suo Mommolo, si fosso deliberata di vivere sempre sola. — Col denaro che m’ha lasciato feci dire del bene per l’anima sua, e poi, come posso, ajuto quelli che hanno maggiori bisogni di me. Quando nacque d’una mia cugina germana questo figliuolo ch’ella vede, io lo levai al battesimo, e gli posi nome Mommolo. È la mia compagnia, la mia distrazione; e quando potrò andare in paradiso a trovar mio padre ed il mio sposo, lascerò a lui questa casuccia e la memoria mia e del mio Mommolo».


Povera Menica! io t’ho compatita di cuore, e quando, dopo la parca cena, recitando il rosario, dicesti un De profundis per quella buon’anima, una dolce tristezza mi compunse, ben altrimenti che alle lambiccate orazioni funerali.

Povera Menica! e quando coll’alba seguente mi partii da te, passando innanzi alla sepoltura del tuo amico, intrecciai una ghirlanda di margheritine, di garofanetti e di campanule silvestri, e la collocai su quella croce, ove tu certo l’avrai vista ed aggradita, come testimonio di spontanea condoglianza.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.