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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:214|3|0]]domani: poi, bever fuori e bever dentro dell’osteria (pensava egli) non è tutt’uno? Entrò; alzò il gomito più del bisogno; tornò a casa tardi e colle traveggole.
I genitori s’accorsero d’essere alla cantilena di prima; il padre dava nelle furie, ma la madre lo assonnò, e gli diceva: — Sapete che? diamogli moglie, e metterà giudizio. Quanti col tôrre moglie son diventati tutt’altri!»
Il padre, facendo spallucce, rispondeva: — Fate voi». La donna allora pose gli occhi sopra la Laurina; una buona ragazza; un angelo in carne. Aveva costei una nidiata di fratelli; onde i suoi, che erano povera gente, non vedeano quell’ora benedetta di darle il cristiano, pur che sia, per poter dire, — E una.
Veramente quando la mamma di Tita ne fece la chiesta, il maritarla a una stirpaccia di così cattivo nome pesava non poco ai parenti di lei: ma la madre di Tita li confortava. — Sì; ha dato quello scapuccio. Eh! ognuno una volta o l’altra ha da scorrer la cavallina. E chi rompe la cavezza da giovane, riesce poi un uomo come si deve. Adesso, credetemi, ha messo testa; ha un buon mestiero per le mani: del suo cuore poi non vi dico altro. Chiedetene e domandatene a chi volete».
Quelli in fatto cui domandavano, per paura di mormorare, non c’era bene che non ne dicessero, ed era fin troppo per contentare i genitori, il cui scopo astratto è sempre di dar marito alle ragazze. Alla sera dunque la madre domanda a Tita: — Prenderesti moglie?
— Perchè no?» risponde questi, immelensito dal vino. «Ma chi ho da togliere?