< Pagina:Novelle lombarde.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
266

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:280|3|0]]grasso s’affollano di gente le vie, s’empiono i balconi, comiciano le carrozze, e da questi e da quelli si lanciano, si subiscono manciate e palate di confetti, fatti di farina con poco gesso e per anima un coriandolo, che non bastano per cavar un occhio, salvo se lo colgono in pieno, ma che insudiciano schifosamente la persona e il vestito. Poche maschere plebee e grossolane vanno a piedi o su cavallacci: qualcosa di meglio vedesi nelle carrozze, ma la più parte in bautte di vario colore; e

Briarei i fanciulli e Gerioni
Fansi a raccor la pubblica treggea
Ch’è ’nvece d’arme a’ fervidi campioni
(Parini)


A poco andare il selciato è tutto coperto d’un buono strato di polvere di gesso; polvere le vetrine delle botteghe; polvere gli abiti de’ passeggeri, e quei delle discendenti di Brenno, fattesi amazzoni a saettare dalle finestre e dai balconi. La scena si rinnova il sabbato grasso; poi, quando la sera viene, bravi pranzi e laute cene son preparativo a balli, che, schiamazzanti come le avide gioje in sul Unire, protraggonsi fin presso la mattina della quaresima.

E quella domenica, chi scorre la città, là trova tutta bianca di farina e tempestata di confetti; e negli abiti non ancora ben ripuliti, e ne’ visi pallidi dell’orgia notturna, e nella nuova comparsa del corso vespertino, s’accorge quanto, a differenza degli spensierati padri, la generazione odierna è grave, calcolatrice, meditabonda.

1846.


    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.