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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:289|3|0]]metteva un po’ sul balcone. Quand’egli passava sotto la salutava colla mano. Sulle prime ella non mostrò di vedere, poi non stette al martello, e fece anch’essa altrettanto: alla fin dei conti che male c’è?

Una sera egli la chiamò in basso tono, e — M’occorre di dirvi una parola». — Ditela pure», essa replicò. — Ma volete? qui così dalla strada? Fatevi abbasso». — Non posso», rispose ella; «c’è il mio babbo».

Al domani il babbo non c’era: ella discese a sportello, mise fuori la testa, ed ascoltò. Ma il discorso non potè terminarsi quella sera, e al giorno appresso, poi l’altro, e l’altro, sempre egli aveva a ragionarle di qualche cosa; e poi quando ella era dabbasso, non si ricordava più, e bisognava riportarsi al giorno seguente.

Di tutto questo non aveva ella fatto confidenza se non ad una vicina, che si chiamava la Bia, una buona pastocchiona, di quelle che credono tutto bene, e che, invece di darle una lavata di capo come va, le diceva: — Gli è un dabben ragazzo: se fa per di buono, puoi aver trovato la tua fortuna, e ringraziare Iddio d’aver dato il capo in un buon muro. Guardati però dal far del male, perchè altrimenti il Signore castiga con de’ guai grossi ma grossi».

A questo modo tiravano innanzi i due innamorati; poi una sera parve che quello star li in sulla soglia non fosse che un far bella inutilmente la piazza. Il padre non c’era; era andato alla fiera di Bergamo: ond’ella tolse dietro Sandro, e chiusero la porta. Non aveano fatto che entrare quando si seute battere trafelato al picchietto della porta. — Oh signor Iddio! chi sarà mai? Scappate.

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