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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:294|3|0]]disce di vedere; e la Savina ritira la mano, che, col favore dell’oscurità, si era, senza accorgersi, lasciata stringere nella mano del giovinetto.

Tanto un pochettino d’orrore giova a crescere l’interesse, sia in una panzana da veglia, sia in un racconto da album o da strenna. E la vecchia dello stesso tono proseguiva:

— Quale restasse l’Agnese, voglio lasciarlo pensare a voi. Lì, sola, con un uomo morto; lei che prima sarebbe svenuta di paura a vederne uno anche di lontano: e questo uomo era il suo damo: era morto allor allora; morto in grazia di lei, e, quel ch’è peggio, senza neppur confessarsi. Gridare non poteva: suo padre era lì muro a muro, tanto che nemmeno osava piangere: smaniava, stracciavasi i capelli, s’abbandonava sul caro corpo, baciava livide e assiderate quelle labbra, che vive non avea baciato mai; e l’inondava di lagrime silenziose. Si provò di levarlo fuori; oh adesso! pesava il doppio di lei: appena che potesse muoverlo, e la cassa era fonda. Lo spruzzava d’acqua diaccia, gli dava ad annusare aceto, gli scaldava dei panni sul cuore: tutto incenso ai morti.

Che farà? Se lo sa la gente, Dio ne liberi! Chiamare suo padre? Cosa direbbe mai? aver tirato in casa un giovane, averlo ammazzato!

Non le soccorrendo miglior partito, risolve d’andare per ajuto alla Bia sua vicina; essa conosceva già quell’intrigo; le teneva anzi la corda. Piano piano adunque schiude l’uscio, sguiscia fuori: le ginocchia le si piegavano sotto, come avesse avuto tre mesi la quartana. Monta per la scaletta, e — Bia! Bia!» domanda.

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