< Pagina:Novelle lombarde.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

279

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:295|3|0]]— Che chiami, Agnese? caspitere! di quest’ora?

— Zitta, e aprite per carità!»

Poi come fu dentro, piangendo, sbattezzandosi, le rivelò il caso.

— Morto! Sandro!» andava quella replicando, e spalancava gli occhi, torceva le mani, se le cacciava nei capelli.

— Sarà forse solamente svenuto.

— Magari!» soggiungeva la fanciulla. «Venite dunque per carità! per amor di Dio! venite, soccorretemi».

La Bia si trasse a compassione, e andò da lei. Già suo marito non era pericolo che tornasse a casa, perchè era un ubbriacone, che non lasciava l’osteria se non quando ne lo cacciavano. Va dunque alla camera, osserva anch’essa, brancica, muove, solletica: — è proprio morto, morto stecchito.

Tutto questo si faceva a chetichella in peduli, spiegandosi a gesti, senza trar fiato, per timore che il padre non sentisse. Ma stracco del viaggio, questi aveva attaccato, senza bisogno della nanna, e presto fu sentito russar della bella. Visto dunque inutile ogni tentativo, la Bia diceva all’altra — Calmati; che vuoi? Quel ch’è fatto è fatto. Ora bisogna pensare a rabberciarla, non a fargli il pianto. Qui non c’è altro. Leviamolo fuori; portiamolo sulla strada, e lasciamolo lì. Il primo che passa lo troverà, e dirà che cascò d’un accidente.

— In istrada! gettar là così il mio povero Sandro? come un cane? ed è morto per me! Io no, io no». E se gli buttava sopra, e piangeva e singhiozzava, convulsa, spasimante replicando pure, — Io no, io no».

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.