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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:314|3|0]]prenda paura dei cani che abbajano. Sono i suoi. Egli torna a casa dalla caccia, e mi dice: Addio, cara Gioconda; come stai? e mi bacia, bacia me, poi il mio bambino: e mi presenta i regali da sposa perchè, non sa? domani ci sposiamo».
E qui rideva, e mi destava maggior pietà che piangendo.
Tacque, ripiombò nel suo letargo; e allora la vicina mi raccontò siccome gli amori della fanciulla con quella praticaccia fossero proceduti, non ostanti consigli ed ammonizioni. Esso la pascolava di speranze, tenendola a ciance finchè l’ebbe tirata al suo intento. Allora leggiero, come sempre, e vago di novità, voltò la vela, nè di lei si curò più che tanto. La fanciulla cominciò ammalazzire. Si credette che prima non ne fosse cagione se non l’abbandono del suo vago, che più non vedevasi ronzarle d’attorno. Ma.... seduttore scellerato! ho da rivelare tutta la costui infamia? — Dopo alcun tempo non potè la meschina celar una schifosa infermità. Quel che divennero il padre e la madre non occorre dirlo. Ella, dopo che lungo tempo soffrì, Dio sa quali spasimi, quando vide non potersi nascondere più... tentò precipitarsi dal balcone. Fu trattenuta, ma da quel momento la ragione sua andò smarrita: la cura stessa accrebbe la debolezza di sua mente: che più? ecco l’avanzo della vivace Gioconda, ecco la vittima della seduzione.
Chi avrebbe frenato le lagrime? Io piangeva, piangeva la vicina, e la Gioconda fissava me, fissava lei con occhio stupido e cristallino, quando repente si sentirono poco discosto alcune fucilate. La delira sorse repente coll’impeto e colla rigidezza