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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:315|3|0]]d’un automa allo scattare della molla; gli occhi le lampeggiarono d’una feroce serenità, e divenuta di mille colori, inarcò le braccia e tutta la persona, spalancò la bocca quasi ad un grido che non uscì. Poco appresso replicaronsi gli spari: ed allora l’infelice dandò in un ah! dove sonava tutto l’accento della disperazione, prese la rincorsa verso il letto e buttatasi sopra quello boccone, e coprendosi il capo colle coltri e coi guanciali, stette gridando, piangendo, divincolandosi.

Non ressi. Mi strappai allo spettacolo sciagurato, ed uscendo sulla porta, bisognoso di respirar aria, eccomi passar dinanzi quello straniero villeggiante, in abito ed arnesi da cacciatore, con larga preda e molti amici intorno, allegro con essi allegri, rideva, gavazzava; — rideva, gavazzava, passando avanti alla casa della Gioconda, senza tampoco voltar in colà un’occhiata.

Se più compassione mi mettesse la dissennata, o più orrore il suo seduttore, noi saprei definire. Fuor quasi di me, entrai nella bettola e mi gettai pensieroso presso il focolare. I terrieri stavano bevendo contando ognuno la sua: e un ultimo capitato narrava come quel giorno fosse stato sentenziato un povero artigiano, che tutti conoscevano, il quale, per pagare la pigione del canile ove ricoverava della pioggia la moglie e quattro figliuoli, aveva rubato uno zecchino.

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