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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:42|3|0]]tutto amante della pace e di quelle cose che si chiamano il buon ordine e il tranquillo vivere.
Sorseggiato la cioccolata, se la passeggiava egli giù giù, digerendo all’aria aperta, colle mani alle reni una nell’altra e fra le due la tabacchiera, mentre il sindaco, il quale sbocconcellando un tozzo di pan mescolo asciutto, colla zappa sulla spalla dirizzavasi ai campi, si veniva con lui rammaricando d’una nuova tassa, imposta dal feudatario, contro le antiche consuetudini, e detta del bollino, perchè faceva pagare a’ vinaj il bollo che metteva sulle mezzette del vino a minuto.
Il sere ascoltava quel rancore del sindaco, poi dando fuori in uno scroscio di riso che gli faceva traballare la pancia, tra l’offrirgli una presa di tabacco, gli diceva: — Eccoti alle solite antifone. Ma cotesto non è un cercar le noje col lanternino? Che importa a te s’egli mette una tassa nuova? Quando toccasse a te a pagarla, vorrei dire: ma chi ha da fare ci pensi. Sai che tu se’ curioso? Se tu cavassi frutto dalle mie prediche, non ti prenderesti no tante scese di capo. Bada a me, bada a me, che la so più lunga. Lascia andar l’acqua in giù, e lega l’asino dove vuole il padrone. Il mondo non è sempre andato di questo passo? Che? Vuoi tu ora ristampare il mondo?
— Sarà bene (soggiungeva il sindaco), sarà bene, perchè vossignoria legge tante storie, e deve saperlo: ma però codeste angherie una volta non si soffrivano, e quando godevamo la nostra libertà....
— Zitto là» l’interruppe don Amadio. «Che cosa, mi vai accattare qua il tempo che Berta filava? Ora è così, e così lascia stare, e dà mente a me,