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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:43|3|0]]se non vuoi farti avere in tasca. Ecco me; io sono pure qualche cosa, e Domenedio, per sua grazia, non mi ha fatto una zucca. Eppure sto coi frati, e così me la campo d’amore e d’accordo con tutto il mondo. Oh questa è curiosa! Che i padroni operano da padroni sono forse cose che le si facciano da jeri? Che? Le dita della mano sono forse tutte eguali? Ti ricorda piuttosto che egli è l’illustrissimo don Alfonso, e tu, tu sei Isidoro pover uomo.
— Ma galantuomo» dava su il sindaco: e toccandosi la sua gabbanella di frustagno, — Vede, signor vicario? su questi stracci non c’è una macchia nè di sangue nè di lacrime; mentre sul broccato di qualchedun altro...»
Egli s’interruppe all’udire degli abbaj ed uno scalpitare fragoroso, e poco stante vide don Alfonso svoltare la cantonata; onde, facendogli tanto di berretta, mogio mogio tirò di lungo. Ma il curato, coprendo una larga tonsura, con profondi saluti si avvicinò a riverire il feudatario. Cortesissimamente questi ricambiò, e — Ci onorerebbe vostra riverenza di sua compagnia alla caccia?»
Al nostro curato sarebbe parso di mancare ai convenevoli se coi superiori avesse parlato nel tono stesso che faceva colla marmaglia, e però, qualvolta gli occorresse di ragionare con essi, vestendo un tutt’altro uomo, lasciava da banda il favellare piano e alla ambrosiana, per isfoderare un gergo concettoso, fiorettato, e, come si dice, in punta di forchetta: nel che quella generazione, come sanno persino i barbieri, poneva il paragone dell’ingegno e dell’eloquenza. A quell’invito adunque — Oh illustrissimo (rispondeva), mercè i raggi che il sole