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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:52|3|0]]Onde, nel mentre che due tenevano ciascuno per un braccio agguantato il fratello, il Guercio, che era fra essi il più laido d’animo come di figura, saltò verso la fanciulla a molestarla con parole scomposte e scomposti atti. La meschina accoccolatasi, raggricchiata, stretta stretta alla parete della Madonnina, colle braccia incrociate sul seno e la faccia tra quelle appiattata come poteva, gridava:

— O Signore! ajuto! Cipriano... o Cipriano, soccorrimi!... Caro voi, lasciatemi stare... Vi prego, per vostra madre, per vostra sorella... No, no... per carità... sono una povera ragazza, abbiatemi compassione... state quieto... Oh cara Madonna!... Oh anime del purgatorio!.. vi dirò il rosario tutti i lunedì finchè campo... No, no... ajuto, ajuto!»

E Cipriano vedeva. Indarno procurava sviticchiarsi da coloro; pestava i piedi, imperversava, gagnolava, stiacciava come una civetta in collera, stralunava gli occhi al cielo, urlava — Sta cheto mostaccio da forca. Se ti posso arrivare! Guarda che t’ammazzo...»: e non poteva farne altro. Anzi i buli, mescendo giuraddii e sghignazzi, gli facevano tratto tratto sentire come pesassero le loro manaccie.

A questi strilli, a quel diavolezzo, accorse dapprima la canatteria che l’accrebbe, poi cacciatori da diverse bande, infine don Alfonso istesso. L’apparir suo nulla di bene prometteva a Cipriano: pure v’ha dei momenti, in cui è di consolazione anche un disastro, purchè ci tolga all’affannoso presente. Di fatti, appena il padrone comparve, i buli, tanto umili coi superiori quanto erano prepotenti cogli inferiori, lasciarono i due martiri, e cavate le berrette, si ritrassero insieme, coll’abjezione che nasce

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