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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:76|3|0]]fecer civetta fra le spalle, cento bocche si spalancarono ad un ah di meraviglia, di sgomento: poi al grave odore di solfo, ai densi volumi di fumo che sbucavano da una finestra, le donne e i più timidi cominciarono ad esclamare: — il diavolo, il diavolo! è venuto a portar via il padrone ed i suoi bravi».
Tanto abituali e radicate erano queste ubbie, che non solo cacciarono il più de’ circostanti in dirotta fuga, ma fecero impallidire gli stessi più sicuri: e quei bravi che le tante volte aveano sfidata viso a viso la morte, ora dinanzi ad un potere invisibile presi da panico terrore, gettarono le armi gridando: — Perdono! misericordia!» Nè meno sbalorditi rimasero il vicario, il sindaco, e, a malgrado del sangue generoso, anche don Alessandro. Questi però fu il primo a ripigliarsi, e tolta omai ogni resistenza, si mosse diviato per riconoscere l’accaduto. Il vulgo non dubitate che più varcasse la soglia, da che la idea del diavolo la custodiva. Il vicario, per poca volontà che se ne sentisse, non potè rifiutarsi all’invito fattogli di entrare scongiurando: e fioco siccome avesse veduto il lupo, trinciando benedizioni che l’una non aspettava l’altra, ripeteva esorcismi e oremus cui donna Emilia rispondeva. Seguitavano i servitori, girando gli occhi pieni di sospetto, e colle armi inarcate quasi avessero intenzione d’ammazzare lo spirito maligno: dietro a tutti veniva il sindaco, con tremula voce dicendo come un giornalista: — Coraggio, innanzi».
Così s’avviano alla camera di don Alfonso. Ogni cosa era ingombra di fumo: ma l’usciuolo dietro alla tappezzeria era aperto: passano nel gabinetto... che spettacolo! Il guardacaccia sfracellato giaceva in un