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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:77|3|0]]lago di sangue, attraverso alla portella, il cui soliare era stato spezzato e scagliatogli incontro da una specie di macchina infernale sott’esso coperta e a cui l’ingordo avea dato inavvedutamente lo scatto. Il giovane signore lanciossi dentro la portellina, e al lume delle fiaccole portategli dietro da due uomini si calò per uno scaletto angusto, erto, disuguale, scarpellato nel macigno; mentre il sindaco di stando in cima, veniva dicendo: — non la abbia paura: ad ogni modo siamo qui noi. È giù?»

Il Sirtori, disceso molti scaglioni, trovato alfine il pavimento, ecco vi scorge disteso qualche cosa di nero: — Dio, Dio! che palpiti al cuore d’un figlio! Accosta il lume: è una donna. Non la conosce: ma le parole del moribondo, ma una voce interna non gli lasciano dubitare chi ella sia. Ma ohimè! non si muove, non sente, non risponde alle parole di lui, che va gridandole — Madre, madre». Se la leva in dosso, e su.

Pallido, sudato, coi capelli irti sulla fronte, rischiarato dietro dalle fiaccole, adombrato avanti dalla fumea non ben dissipata, quando ricomparve nel gabinetto recandosi sulle spalle quella infelice, che spenzolava come cosa morta, il sindaco diede indietro: il curato raddoppiò gli scongiuri: la sposa se gli gettò incontro, e sollevando il capo cascante della meschina, lo bagnava di lagrime dirotte La posero a letto, la scaldarono, la soccorsero; non era morta. In quel corpo, già estenuato da lunghi patimenti, il colpo rimbombato più fortemente nel sotterraneo, aveva sospesa non troncata la vita. L’impressione dell’aria e della luce, il calore, le assidue cure del figliuolo e della nuora, richiamarono i sensi

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