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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:84|3|0]]Era divenuto due dita più alto; e mentre cocessero le vivande, sbracciavasi come un telegrafo narrando il primo atto in cui era stato tanto personaggio: poi nell’udire il successo della storia, trasecolava; batteva l’anca esclamando: — Oh!... Se ci fossi stato io!... ma chi poteva indovinarlo?» Come poi intese la fine del guardacaccia, — Che? (disse) anche lui? fanne e fanne, s’è dato la zappa sui piedi. Credeva lui che fosse arrivato il sabato mio: ma il sabato non arriva soltanto per noi poveretti».

Il sindaco andava cercando sottilmente la verità de caso, per estendere esatta la informazione a chi di dovere. Il signor vicario diceva: — Ecco: io come io, ho perduto un desinarello tutte le feste e de’ bei straordinari, ma tanto tanto ne sono contento, perchè vedo contenti voi alri, che siete le mie pecorelle. E diciamola, che tanto è morto: avete cento sacchi di ragione. Peccato però ch’io non sia giunto in tempo, che, oltre il resto, gli avrei, pulcriter, cum bonis modis, rammentato quel che tante volte m’aveva promesso, di volere qui fabbricare una chiesa e mettervi un cappellano. Oh! un cappellano ad nutum del parroco pro tempore di Barzago, sarebbe un ajuto di costa.

— Ma la chiesa (soggiungeva il sindaco) non si potrebbe farla ugualmente?

Cum quibus?» domandava il curato, fregando tra loro i polpastrelli dell’indice e del pollice.

E Isidoro, accarezzandosi colle dita stesse il labbro inferiore, guardando la terra e dimenando un pocolino il capo siccome un poeta che cerca la rima, replicava:

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