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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novelle lombarde.djvu{{padleft:86|3|0]]lato. La madre pure, la quale, vistone gli effetti non sapeva disapprovare il coraggio di suo figliuolo se dapprima credeva che la legge di Dio vietasse fino di conoscere i torti recati dai padroni, ora, adattando la sua morale all’esito delle cose, colla solita cera quaresimale veniva ripetendo. — Domenedio non distingue il raso dal frustagno: tardi o tosto egli arriva i cattivi, comunque abbiano nome».
Tutto insomma era lieto di così schietta allegria, che fino i signori, ma sovratutto la vivace sposina, pareva si struggessero di mescolarsi alla turba, festiva: se non ne fossero stati rattenuti dalle imprescindibili leggi del decoro. Sopra un rialto protetto da un noce annoso, che il vicario assomigliava al fico di Mambre, tenevansi dunque in disparte i due sposi, la madre, che, come succede nei rapidi passaggi dal male al bene, sentivasi impedito il cuore e la lingua, e don Amadio, al quale vi so dir io che tal compagnia serviva (per usare un modo suo) di manovella a montargli la macchina dell’ingegno e fargliene pronunziare delle squisite ed allambiccate. Stava con essi la Brigita, e tratto tratto anche Cipriano, poichè la gratitudine onde questi erano avvinti non lasciava temere che abusando dell’affabilità, scemassero quella distinzione dei ceti che anche dai buoni credevasi la più importante molla del vivere sociale. Quivi godeano insieme riandando il passato, a quel modo che la mattina si rincorre un sogno pauroso della notte colla consolazione di sapere che non fu che un sogno.
Così speso quel mezzo di e fatto sera, tornarono i terrieri al paese, i signori al loro palazzo. Subito il contorno fu pieno di quell’impresa; alla città