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novella lxvii. | 119 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:129|3|0]]ondeggiando, ch’essi aveano in capo più vino che cervello. Andavano costoro al loro cammino, e come gli furono appresso e adocchiarono l’oboè ch’egli tenea secondo l’uso suo, gli domandarono: Suoni tu quel coso? Egli non rispose, e ne andava pe’ fatti suoi. Ma levandosi essi dalle spalle gli strumenti loro, e fatti due ceffi i più micidiali che si vedessero mai, ritoccarono di nuovo se egli quel coso suonasse. Egli trovandosi quivi solo e disarmato, non sapendo che farsi, rispose che sì, e che egli n’era il suonatore. Or bene, disse uno di loro, sbrigati e suona. Il gentiluomo, riordinato lo strumento, e messogli la piva in becco, incominciò intuonare. No, no, dissero i briganti, suonaci un minuetto. Che si avea a fare? comincia a trinciar l’aria in tuono di minuetto, e le due bestie cominciano a danzare con le più strane giravolte e co’ più lunatici aggiramenti che facessero mai poàne in aria intorno ad una chioccia: infine si porgono la mano, e chiudono con la riverenza. Il suonatore crede che sia terminato: non è vero; vogliono un ballo alla gagliarda; ed egli ritocca, ed essi fanno scambietti, capriuole e salti, che parea che volassero; poi tornano al minuetto; poscia al gagliardo, senza mai dargli requie nè modo da rifiatare un momento, tanto ch’egli era vicino a far uscire quel poco di anima ch’egli avea in corpo fuori per la canna dello strumento. Se non che in fine il vino, aggiunto al caldo della danza e dell’aggirarsi intorno, fece l’ufficio suo, e i due ballerini quasi ad un tempo caddero e si distesero a terra come morti, tanto che il suonatore fu tentato allora di bastonarli come due tappeti. Ma egli era sì stanco e parte sì maltrattato dell’avuta paura, che si mise a trottare verso la casa sua, e fece giuramento di non andar più a suonare alle funzioni da lontano e solo.