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novella lxix. | 121 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:131|3|0]]fra i suoni e i canti dell’Olimpo. Arreca il quadro suo al giovane, lo scopre: questi lo guarda e loda, ma non pienamente; maggiore era ancora l’allegrezza sua intrinseca, di quella che vedea nel quadro. Ordina al pittore che lo ritocchi, che faccia più lieto l’Imeneo, più gioconde le figure che avea d’intorno: il pittore promette e nel riporta seco. Il tempo era breve; si fanno le nozze prima che sia compiuto il quadro. Passano quindici dì in circa dopo il matrimonio, e il pittore ritorna con la tela sua, la quale avea lasciata qual era prima, senza metterle pennellata sopra. Il giovane la vede e dice: Ohi, troppo più che io non volea, l’avete voi fatto ora lieto questo Imeneo: quelle labbra ridon più del dovere; questa catena vorrebbe essere un po’ più grossa; quella facella è soverchiamente chiara e dovrebbe gittar fuori un poco di fumo. Che dirò io più? che in due mesi lo volea dipinto con le lagrime agli occhi, con una catena grossa due dita da galeotto, e con un tizzone rovesciato in cambio di facella. Ma il pittore ch’era uomo di giudizio, non volle fare questo scandalo; anzi dipinse un certo Imeneo che, veduto fuori per un cristallo da lontano, parea tutto festevole e ridente, e veduto da vicino, facea all’incontro una bocca e due occhi da piangere, che parea battuto: e in tal guisa soddisfece alla volontà degli amanti e degli ammogliati.
LXIX.
Medicina usata da’ Medici nel curar sè stessi.
Poche sere fa io mi trovai al letto di un ammalato, e si ragionava dalla compagnia che quivi era, intorno agli stomachi umani, i quali quando gli uomini sono infermi, divengono un barile ripieno di purganti, di acque, di cordiali e d’altre siffatte cose che sarebbero capaci di rendere infermo un sano, non che di guarire un ammalato. In questo, entrò nella stanza il medico, uomo veramente di molta