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novella lxxiv. 133

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:143|3|0]]correnza di genti, e dove l’avvocato era usato a trovarsi. Quivi giunta dunque, e veduto l’avversario suo che appunto in un cerchio di persone si stava motteggiando e ridendo, gli andò da vicino, e quale un repentino fulmine che scocca dalle nubi, trattosi lo zendado indietro e scopertosi il viso, li auncinò con le mani il cappello e la parrucca, e li lanciò da lontano; indi, senza punto restare, incominciò e con le ceffate e con le pugna a battergli le guance e il capo con tanta furia e tempesta, ch’egli non sapea ove si fosse. Finalmente, quando le parve che bastasse e che tutti i circostanti fossero rivolti a vedere la zuffa, gli disse: Dottore, questi sono i testamenti, gl’istrumenti e le scritture dei fidecommissi, di primogenitura della nostra famiglia: voi siete avvocato, leggete ed esaminatele a vostro agio, chè io ve le lascio.E così detto, andò per li fatti suoi, senz’altre parole, lasciando l’avversario impacciato a raccogliere il cappello e la parrucca dal fango, con tutte le persone intorno che ridevano dell’avvenuto accidente.


LXXIV.

Si narra come un povero Giovane si liberò dalla tristezza cagionatagli da una vincita al lotto.


Un giovane servidore, da me conosciuto di buon animo e povero quanto possa essere uomo, cercando ogni onesta via di avere danari, tentò più volte se egli poteva arricchire per via del lotto. Io l’ho più volte udito a narrare sogni; spesso mi mostrò numeri datigli da donne e da uomini; mi disse ragioni, e fece conti sicuri che doveano uscire; poi, non so per qual ragione, non uscirono, ed egli ne vivea ingrognato per una settimana, finchè gliene venivano dati di nuovi per l’altra estrazione, chè allora tornava a sperare e diveniva contento, pascendosi la mente di quello che dovea essere; finalmente ebbe tanta ventura, che il giorno de’ ventiquattro del mese

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