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134 novella lxxiv.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:144|3|0]]presente vinse quarantacinque ducati. Gli riscosse, ma non parve che se ne avvedesse: gli ricevette come una statua, non se ne rallegrò; rimase pensoso e poco parlava con alcuno. Incominciò a non dormire la notte, a far conti sulle dita il giorno, a non rispondere se uno gli favellava, a fare ogni cosa alla riversa, e in somma parea che fosse vicino ad impazzare. Quando l’altra notte levatosi dal letto, ne andò all'uscio del padrone e picchiò. Il padrone mezzo sbigottito chiede: Chi è là? Son io, risponde il servo. E che diavol vuoi tu a quest’ora? ripiglia il padrone. Io vi prego, disse l’altro, per carità, o che voi vi prendiate questi danari subito, o che voi mi diciate quello che io ne debba fare, perché io sono vicino a dar la volta al cervello: io non ho mai avuti tanti pensieri nel tempo in cui non avea un quattrino. Il padrone quietamente gli suggerì che andasse a letto e procurasse di dormire per quella notte, che la mattina gli avrebbe data la norma di quello che avesse a fare de’ suoi tesori e che non ne dubitasse. Ma non potendo egli chiudere occhi, nè tanto indugiare che si levasse il padrone; uscito per tempissimo di casa, incominciò a darne a quanti poveri riscontrò per la via, convitò non so quali amici all'osteria, mangiò, giuocò e bevette assai contento, e ritornò a casa in sul far della sera senza un quattrino; dove rimproverato dell’essersi senza licenza allontanato da casa, pregò il padrone che gli perdonasse, e gli disse che avea ciò fatto per liberarsi da uno de’ più gravi pensieri del mondo, e da una malinconia che lo avrebbe guidato alla sepoltura.

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