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138 novella lxxv.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:148|3|0]]di giorno in giorno facendo, con grandissima segretezza e silenzio, ebbe nelle mani tutta la materia e la disposizione di quella fatta da lui; di che in breve tempo compose le sue lezioni. Intanto venne il tempo che le s’aveano a proferire. Il poeta, che il primo, come detto è, dovea essere a favellare, si trovò nell’assegnato luogo allo stabilito dì, ove gli faceano corona intorno tutti gli uomini scienziati della città, e fra gli altri lo storico. Quivi salito sulla cattedra sua, incominciò tutto arioso a ragionare, e n’avea lode generale da’ circostanti. Il povero storico solo era vicino ad impazzare, udendo che, dalle parole in fuori, quella diceria era sostanza del suo cervello, e non sapea intendere in qual forma avesse il caso portato che due ingegni avessero in quel modo colpito ad un medesimo segno. Con tutto ciò, diceva fra sè, io vedrò nell’altre lezioni se il diavol sarà cotanto mio nemico, che gli abbia posta nell’intelletto tutta la materia mia; e s’io sarò cotanto sventurato, che, dopo cotanti pensieri e così lunga fatica, io rimanga vôto, e non sappia più di che favellare. Nel vegnente giorno, ritornato di nuovo alla lezione del poeta, parea una statua ad udire così puntualmente tutte le cose sue proprie, dette come se fossero uscite di bocca a lui medesimo; e così fu il terzo giorno e il quarto e il diciottesimo, che fu l’ultimo; nel quale egli era così dimagrato e smarrito, che il fatto suo era una compassione. Anzi considerando fra sè che quello ch’era stato maliziosa opera, fosse accidente, nè potendo darsi pace che la nemica fortuna avesse posto in mente ad altrui appunto quello ch’egli avea pensato; intrinsecatosi al tutto in tanta sua calamità, e stimandosi il più sventurato uomo del mondo, incominciò a farneticare e a dar nel pazzo, per modo che non gli abbisognò parlare altro pubblicamente, e dopo molti anni fu della sua pazzia difficilmente guarito.

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