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140 | novella lxxvi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:150|3|0]]un certo coltellaccio ch’egli avea, tagliò di subito il capo al proprio corpo che avea lasciato in terra; ondè il principe ritornato, non sapendo più dov’entrare per allora, s’allogò in un pappagallo d’una signora ch’era morto quel giorno. Vi so io dire che in casa della signora, dove fu pappagallo, egli spiò di belle cose, e ne dice di quelle ch’io non potrei pubblicare. Ma perchè, essendo anche pappagallo, non avea perduta la malizia dell’uomo, egli facea anche un peggiore ufficio, cioè quello di notare i fatti di lei, e per dispetto di vederla ad ingannare ora questo, ora quello, avvisava gl’innamorati delle sue maccatelle; tanto che quella casa n’andava tutta a romore. Se non che avvedutasi la padrona un giorno della sua mala lingua, la gli si avventò alla gabbia con tanta furia, deliberata di rompergli il collo, che s’egli non avesse in fretta in fretta detti i suoi versi, sarebbe rimaso morto. Uscito di pappagallo, volò in ispirito fuori d’una finestra, e, non trovando meglio, s’allogò nelle membra d’una castalda morta, che avea fatto impazzare il marito, il quale fu per impiccarsi quando la vide risuscitata. E così di tempo in tempo vivificò diversi corpi; e ora afferma che non sa come gli sien usciti di mente i versi; e piange amaramente d’aver infine a morire.
Non è però questa la sola pazzia ch’egli dice, ma un’altra non minore. Io credo certamente ch’egli abbia così dato nelle girelle, fantasticando sopra quello squarcio di Piatone, dove il Filosofo racconta quella favola egiziana delle tramutazioni degli spiriti dall’un corpo all’altro. Pitagora e altri valentuomini antichi, i quali non aveano la guida del lume maggiore, innamorati dell’attrattive della virtù, e volendo confermarla tra gli uomini, l’ajutavano con tale invenzione; e significando che un uomo nella sua seconda vita verrebbe premiato del suo bene operare, o del male gastigato, affermavano che l’anima dell’uomo dabbene sarebbe passata a vivere nel corpo d’un re, d’un principe o d’altro personaggio qualificato o fortunato, e quella del malvagio sarebbe