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174 | novella lxxxii. |
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O tu che passi, s’esser vuoi beato, |
Così dicea la scritta, e bastò per invogliare il magnanimo principe a quell’impresa, il quale pensando fra sè, disse a questo modo: Io so bene che un altro cavaliere errante che non avesse danari, perderebbe qui un lungo tempo a voler da sè rompere questo grandissimo sasso, ma a me la pare un’opera piuttosto da manovali e da facchini, che da uomini dabbene. S’egli si avrà a fare altro, toccherà poi a me; ma per ora io starò a vedere. Così detto, mandò incontanente intorno pel paese alcuni de’ suoi i quali accordarono a opera mille uomini a tanti danari per capo ogni dì, fino a tanto che avessero spezzato quel monte e fossero giunti al luogo del tesoro. Scarpelli, zapponi e strumenti di ogni genere incominciarono a far risuonar l’aria d’intorno; picchia, ripicchia, fece tanto quella genia, che aperse una strada nella montagna, e in poco tempo la fu traforata fuori, sì che si passava dall’una parte all’altra. Ma quando il principe fu giunto dalla parte di là, trovò un profondissimo stagno, e un’altra scritta che diceva:
Innanzi è l’oro; se vuoi far guadagno, |
Bene; e quest’anche non tocca me, disse il principe, e aperte nuovamente le borse, fece una bella diceria a que’ villanzoni, gli pagò il doppio, e furono ruotolati tanti sassi, greppi, ceppi e altro, che in pochi giorni fu ripieno lo stagno, tanto che si poteva