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176 | novella lxxxii. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:186|3|0]]di quello. E però, dappoichè tu hai avuto coraggio di penetrare per tanti rischi fino a questo luogo, vedi se hai anche animo di affrontarti meco a battaglia. Dice la storia che quando il Principe udì il dragone a favellare, gli si arricciarono i capelli in capo, e gli corse un certo ribrezzo di freddo per tutte le vene; tanto che, s’egli avesse potuto farlo con suo onore, gli avrebbe mandati incontra i mille uomini che avea adoperati negli altri lavori; ma ricordandosi che quella era pure faccenda che toccava a lui, e che giunto era il punto di acquistare il tesoro, fece cuore, e calatasi in sugli occhi la visiera, pose mano alla spada, e andò incontro al dragone. Si appiccò una zuffa, che non fu mai veduta la più bestiale; perchè il povero Principe non avea solamente a combattere co’ denti della bestia, ma col fuoco e col fumo. Quella maladizione parea una fornace, e sputava carboni accesi con tanta furia, che pareano gragnuola, e di quando in quando gli dava strette co’ denti ad una spalla o ad un braccio, che se non fosse stato di finissime armi guernito, gli avrebbe sgretolate le ossa come cannucce. Egli all’incontro menava di taglio e di punta senza saper quello che si facesse, quasi cieco dal fumo, e una volta fu vicino a perire, perché menando un grandissimo riverso con quanta forza potè, fu portato dal peso della spada, che non trovò in che percuotere, colla faccia in terra, sicchè il dragone gli fu addosso, e se non era presto a rizzarsi in piedi, l’avrebbe strangolato. Non morì, ma non si levò però sì tosto, che non ne riportasse due o tre morsi che gli spiccarono via certi pezzi di carne dal diretano rimasugli scoperto dall’armatura; tanto che il sangue gli piovea come un rigagnolo da più lati. Finalmente, quando piacque al cielo, più per caso, che perch’egli sapesse quello che si facea, la spada calò sul nodo del collo al dragone e gli spiccò il capo; di che si avvide piuttosto alle grida di allegrezza de’ suoi i quali si stavano a veder la zuffa da lontano, che per saper egli quello che avesse fatto, perché non conosceva se fosse notte o giorno.