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novella lxxxiii. | 177 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:187|3|0]] Intanto dov’era caduto il dragone si aperse la terra di sotto, e quello ne fu inghiottito, e di là a poco uscirono della medesima apritura sei donzelle vestite di bianco, bellissime quanto sono tutte quelle degli antichi romanzi; cinque delle quali aveano in mano certe urne piene di monete coniate, e la sesta un’ampolla con dentrovi uno squisito balsamo per guarire ferite, le quali andate innanzi al principe, gli presentarono ogni cosa come sua per parte della fata Dragontina loro signora, e gli cantarono una canzone in lode del suo mirabile valore. Il principe le ringraziò, ma contorcendosi, perché le ferite gli cagionavano molta doglia; e le pregò che per parte sua facessero i dovuti convenevoli colla fata; e quelle sparirono. Allora il principe, ricolte le urne e l’ampolla, si fece stendere a’ suoi un agiato padiglione, e postosi a letto ordinò di esser unto col balsamo, e stette parecchi giorni a guarire, e parecchi altri a ristorarsi delle forze perdute. Quando egli fu sano, volle rivedere i conti di quello che avea speso nell’acquistare il tesoro, e dall’altra parte noverare le monete che avea ricevute dalle donzelle, e trovò che il conto era pareggiato, che e non avea vantaggio di un quattrino; e oltre a ciò, vide che il balsamo era appunto stato quella quantità che gli era bastata per risanarsi dalle ferite, e che non glie n’era sopravanzata una gocciola. Per la qual cosa ne trasse questa morale: «Molte fatiche fa l’uomo, nè però migliora la sua condizione di prima. Può ringraziare il cielo se le sue speranze non l’hanno fatto più povero.»
LXXXIII.
Il Pittore di ritratti.
Nella città di Firenze fu già un nobilissimo pittore, il quale nell’arte sua avea tanta capacità, che ognuno de’ suoi tempi avrebbe giurato la natura medesima essersi tramutata in lui, e che la dipingeva con le