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novella lxxxvii. 197

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LXXXVII.

Storia di due Infermi.


Rex Æsculapi, quam habes potentiam!

Aristoph. in Pluto.

Oh! Esculapio re, quanto è grande la tua potenza!


Sono alquanti mesi che nella città in cui mi ritrovo, corre una infezione di febbri di così pessima ragione, che in pochi giorni struggono e mettono nelle mani dei beccamorti chi ne viene assalito; e per quanto i medici vi abbiano fatto accurati esami e diligenti studj sopra, non si potè mai venire a capo di far meglio. Ciascheduno di essi dice mille buone ragioni intorno ai principj di questa malattia, applicano rimedj secondo tutte le regole dell’arte loro: non dimenticano sentenza veruna antica nè moderna per corroborare le loro opinioni, tanto che non si sa più che dire, se non che gli uomini muojono a torto e per ostinazione. Sperasi tuttavia che una sperienza veduta questi giorni possa finalmente arrecare quel giovamento che si cerca, e confortare le persone le quali veramente sono atterrite, e di tempo in tempo si mettono la mano al polso, e ad ogni menoma agitazione di quello si danno per sotterrate.

Due persone, quasi della medesima età e complessione, vennero ne’ passati giorni da questa mala generazione di febbre assalite. L’uno è un buon uomo di lettere, il quale, secondo la usanza della letteratura, non è molto agiato de’ beni di fortuna; e senza punto pensare di quello che può avvenire domani, si appaga del suo pane cotidiano, dicendo che ogni dì lo arreca a chi lo spera. Il secondo è un certo uomo, il quale nel principio di sua vita fu castaldo, e di tempo in tempo accrebbe le facoltà colla industria, e ajutato parte dalla prospera fortuna e parte da una profondissima aritmetica, sottopose i suoi padroni, e cominciò a grandeggiare e a spendere,

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