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236 novella vi.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:246|3|0]]stimò che fossero a proposito per renderla dilettevole e fertile.

Intanto accostavasi il tempo in cui dovea abbandonare il suo regno; e cotesto principe non solo non ne avea rammarico, ma non gli parea di poter vedere l’ora di andare a prendere il possesso de’ suoi nuovi Stati. Giunse finalmente lo statuito giorno: fu balzato dal trono, spogliato de’ reali vestimenti come gli era stato detto prima, e condotto ad una nave che lo trasferì al luogo del suo esilio. Il monarca discacciato dal trono, vi giunse felicemente, e più felicemente ancora vi passò la sua vita con que' sussidj che prudenza gli avea insegnato a mettere insieme.


Arabchab, da cui trassi la precedente allegoria, ne dà questa spiegazione.


L’uomo benefico è Dio; lo schiavo il conceputo fanciullo; la nave sulla quale il padrone lo fa imbarcare, è il ventre materno; il naufragio della nave è il punto della sua nascita; l’isola a cui approda, è il mondo; i Genj che gli vanno incontra, sono i parenti che si prendono cura della sua prima età; il ministro che gli dà avviso della mala sorte che gli sta sopra, è la sapienza; l’anno in cui dee regnare, è il corso della vita umana, e 1’isola deserta dove viene condotto, è l’altro mondo. Gli artisti da lui spediti sono quelle buone opere che fa durante la vita; i principi stati avanti di lui senza punto considerare le calamità dalle quali veniano minacciati, sono la maggior parte degli uomini, i quali null’altro avendo in cuore, che i piaceri di questo mondo, non si curano punto dell’altro, dove poi sono infelici; quivi presentandosi colle mani vuote di buone opere davanti al trono di Dio.

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