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258 novella xvi.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:268|3|0]]neroso benefattore: morrei contento se potesti testificargli la mia riconoscenza.

I vostri desiderj sono compiuti, esclamò quasi fuori di sè il mio prigioniero. Io sono colui che vi accettai nel mio palagio: non mi riconoscereste voi forse? Il corso tempo dopo sì fatto accidente, e quel dolore in cui era sprofondato, aveano considerabilmente scambiata la faccia di lui; ma studiandone le fattezze, facilmente mi ritornarono a mente, e certe circostanze mi vennero da lui ritocche, che non potei più in verun modo dubitare ch’egli non fosse colui che mi avea con tanta generosità salvato. Lo abbracciai colle lagrime agli occhi, gli levai le catene, e gli domandai per qual mala sorte fosse così caduto sotto lo sdegno del Califfo. Vilissimi inimici, rispose, mi hanno ingiustamente renduto sospetto all’animo di Mamun: venni fatto uscire a furia di Damasco, e mi fu negata fino la consolazione di abbracciare la moglie e i figliuoli miei. Quello che mi accaderà, non so indovinarlo; ma dovendo io temere che sia pronunciata la sentenza della mia morte, vi scongiuro a dar loro la nuova della mia disgrazia.

No, non morrete, gli diss’io, ve ne do ferma parola: sarete alla famiglia vostra restituito; anzi siatevi ora in libertà. Scelsi incontanente molte delle più belle stoffe d’oro di Bagdad, e lo pregai di presentarle alla sua sposa: Partitevi, aggiunsi (mettendogli nelle mani una borsa con mille zecchini); andatevene a ritrovare persone a voi così care, da voi lasciate in Damasco. Caggia l’ira del Califfo sopra di me; poco ne temo, quando posso avere la felicità di mettervi in sicuro.

Che mi proponete voi mai, disse il mio prigioniero? credete voi che io sia capace di accettarla? Come, colla mira di sfuggire la morte, sacrificherei oggidì quella vita stessa che io vi ho un tempo conservata?

Procurate di far conoscere l’innocenza mia al Califfo; altra testimonianza non voglio della mia ri-

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